lunedì 2 febbraio 2009

Chimerica al bivio

Via Limes
Usa e Cina al WEF

Chimerica al bivio: tra Washington e Davos
di Alessandro Aresu
Dopo l'elezione di Obama si cerca di capire quale sarà il rapporto tra Usa e Cina. Le affermazioni di Timothy Geithner sulla Cina e il viaggio della fiducia di Wen Jiabao in Europa. L'uomo nuovo di Davos.

Due eventi hanno caratterizzato i giochi finanziari mondiali tra l’elezione di Barack Obama e il World Economic Forum di Davos: le affermazioni di Timothy Geithner sulla Cina e il “viaggio della fiducia” di Wen Jiabao in Europa. Questi due eventi toccano da vicino l’ipotesi geopolitica Chimerica, e cioé il marchio che Niall Ferguson ha impresso alla relazione tra spesa statunitense e risparmio cinese che ha caratterizzato la finanza globale dell’ultimo decennio. Finora gli equilibri di Chimerica sono rimasti in piedi perché il “problema” Chimerica non è mai entrato nell’agenda degli stati che la compongono. Chimerica finora era uno status. Nel mondo dentro la crisi, visti i rischi che – senza decoupling – anche la Cina sta correndo, con le possibili conseguenze per la stessa stabilità interna, la relazione diventa all’improvviso pericolosa e potrebbe diventare incandescente.

Da una parte, ci sono le osservazioni di Timothy Geithner, segretario al Tesoro dell’amministrazione Obama. Nella sua confirmation hearing al Senato, vi sono state alcuni passaggi infelici sul rapporto tra Cina e Stati Uniti. Dopo alcune domande sullo Strategic Economic Dialogue (SED) iniziato da Paulson, su cui Geithner è stato molto generico, il Senatore Schumer ha posto una questione precisa sulla politica monetaria cinese, a cui Geithner ha risposto con un’affermazione quantomeno perentoria: “Il Presidente Obama – sulle base delle opinioni di molti economisti – crede che la Cina stia manipolando la sua valuta”. Ora, l’utilizzo di questi toni non deve sorprendere: sparare sulla Cina, prima dell’11 settembre, è stata una costante populistica elettorale americana, fin dallo scontro tra Clinton e Bush padre. Ora è lecito pensare che si ritorni a un populismo di questo genere, data anche la proliferazione delle teorie della “minaccia cinese”.

D’altra parte, se ciò avviene in un contesto in cui la Cina è una potenza e lo è in funzione di Chimerica, la situazione si fa critica, soprattutto se teniamo presente il dossier delle riserve estere, analizzato ora nel dettaglio da un importante working paper del Center for Geoeconomic Studies del Council on Foreign Relations. Se questo problema è al centro di Chimerica, allora può essere affrontato soltanto la massima attenzione e Geithner ha sbagliato strategicamente a porlo in modo così brutale. Per fare soltanto un esempio, Martin Wolf, che nei suoi testi ha sempre sottolineato il problema delle global imbalances, sul Financial Times ha giudicato le affermazioni di Geithner inopportune anche se per certi versi condivisibili, vista la posta in gioco. Lo stesso Geithner, nel seguito della risposta a Schumer, affermava che, dato il fatto che la Cina manipola la sua valuta, la vera questione è come e quando affrontare il problema per fare più bene che male. Con un’affermazione così perentoria sulle convinzioni del Presidente, è stato fatto più male che bene.

Fin qui i Chimericani dell’Ovest. Dall’altra parte di Chimerica, il grande evento è il viaggio della fiducia di Wen Jiabao in Europa, che ha avuto un notevole risalto (si veda per esempio il sito ufficiale http://www.chinaview.cn/wjb090127/ del governo cinese), considerando che la relazione tra Europa e Cina è sempre stata secondaria. Wen Jiabao è stato tra i protagonisti dell’ultima gelida Davos, e non bisogna dimenticare che, da ottobre, ha inanellato un’intervista con Fareed Zakaria in cui offriva la sua interpretazione personale di Adam Smith “con caratteristiche cinesi” chiudendo il cerchio lunedì 2 febbraio con un’intervista esclusiva a Lionel Barber, direttore del Financial Times. Bisognerebbe riflettere sul marchio di “nonno Wen”. L’impressione è che la stessa logica di Davos conosca col premier cinese una trasformazione rispetto al canone del “Davos man” attribuito a Samuel Huntington.

Oggi l’uomo di Davos non è più il cittadino del mondo fedele al proprio portafoglio e non a un governo piuttosto che a un altro. Il portafoglio del vecchio uomo di Davos, se ancora esiste, è vuoto. Il nuovo uomo di Davos è uno che, a partire dalla dimensione nazionale e da uno scenario incerto di ritorno dello stato eppure non-protezionista, invita genericamente (cito dal discorso del 28 gennaio) “alla cooperazione e alla responsabilità” nonché a un “equilibrio tra risparmio e consumo, tra innovazione finanziaria e regolamentazione, tra il settore finanziario e l’economia reale”. Per poi aggiungere, con un’eco impressionante della frase per cui John McCain si sta ancora mangiando le mani, che “i fondamentali dell’economia cinese sono solidi”. Wen Jiabao è il nuovo uomo di Davos, ma quella frase maledetta non fa ben sperare per le prospettive economiche di Chimerica, e quindi del mondo.

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